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Workshop_9 Idee pericolose
Condotto da Filippo Leonardi
26 settembre 2009
Idee pericolose, il workshop condotto da Filippo Leonardi ad alcuni mesi di distanza dall’esposizione dei suoi lavori nell’ambito di Greenhouse (Winter), è stato anticipato dal consueto incontro Inner focus, conversazione tra l’artista e il curatore che, spaziando tra politica, musica e arte, ha messo in evidenza l’umorismo e l’antinomia con le quali l’artista, attraverso le sue opere, è solito indagare la realtà. Partendo dalla presentazione di un’ironica intervista video a Silvana Grasso, ex Assessore ai Beni Culturali del Comune di Catania, le riflessioni di Leonardi si sono susseguite per sillogismi in un quadro ben delineato di contraddizioni e paradossi. Fin da subito è emerso l’humour dell’artista; come – al tempo stesso – si è manifestata chiaramente la passione per il dubbio e per il gioco propri del lavoro di Carsten Holler, altra suggestione proposta.
Da Marc Quinn, scelto per la forza espressiva della sua ricerca, a Giuseppe Sollima, musicista siciliano, i temi che Leonardi ha voluto ripercorrere hanno in particolar modo indagato categorie di opposti, quali il naturale e l’artificiale, aspetti in seguito ben riassunti nell’ultima presentazione: Koyaanisqatsi il video culto diretto da Godfrey Reggio musicato da Philip Glass.
Il workshop è iniziato con un dialogo incentrato sul primo incontro che si può avere con l’arte xontemporanea. Durante la mattinata, oltre ad artisti e operatori, hanno partecipato ragazzi con disabilità lievi e gli educatori del centro Arte Pura. Gli aspetti teorici analizzati in questa prima fase hanno indagato temi come la casualità, il paradosso, il non senso e il valore dell’originalità. La parte pratica è stata invece segnata dal’impiego di piante grasse (vere e finte). A ogni partecipante Leonardi ha assegnato una pianta secondo stimoli estetici di associazione uomo-pianta, immortalando in seguito i soggetti in veri e propri foto-ritratti. In un secondo momento, per contro, ogni partecipante ha fatto la propria e autonoma scelta “vegetale”, riflettendosi, dunque, per analogie morfologiche o caratteristiche proprie della pianta, nella specie che avvertiva più vicina. A questo approccio intimo con la materia organica, si è proceduto alla realizzazione di due giardini.
Il primo di questi doveva offrire una parvenza assolutamente naturale, pur accogliendo piante per la maggior parte finte, ad esclusione di una reale e dunque vivente: a tal fine si sono così utilizzati materiali quali legno, terra, fango, sabbia e pietre; elementi prelevati principalmente direttamente dal terreno del PAV. Il secondo giardino, invece, doveva rappresentare visivamente ciò è considerato artificiale, pur ospitando un certo numero piante vere e, come nel caso del precedente, un elemento estraneo, cioè una pianta finta. In questo caso, a contenimento del giardino, si è adoperato del polistirolo perché non solo è un prodotto industriale, ma lo avrebbe caratterizzato come paesaggio algido e impersonale.
In maniera spontanea si sono creati due gruppi di lavoro ognuno dei quali aveva un incarico ben preciso: progettare e costruire due giardini capaci di ingannare la vista, insinuare il dubbio e stimolare la curiosità. Pur seguendo le direttive di Leonardi il lavoro corale è stato complesso perché l’immagine di naturale/artificiale è in ognuno di noi caratterizzata in modo diverso.
Il risultato, che oggettualmente è consistito in un’installazione in seguito allestita all’interno della serra del PAV, è stato sorprendente. Ciò che effettivamente è vero, è invece apparso come falso, e viceversa. Nello spettatore si è creato così straniamento, spiazzamento e, non ultimo, anche una sorta d’inquietudine.
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