Dopo la realizzazione nel 2006 della prima installazione ambientale, Trèfle di Dominique Gonzalez-Foerster, il Parco Arte Vivente, dal 2008 ospita nell’area verde di 23 mila mq installazioni di tipo permanente e semi-permanente.
01 Trèfle
Dominique Gonzalez-Foerster, 2006
11 Aneico, Abacco e Adoneo
Andrea Magnani, 2017
02 Focolare
Collettivo Terra Terra, 2012
12 adobe garden project_2020
Michele Guido, 2020-2022
03 Jardin Mandala
Gilles Clément, 2010
13 Corpo Vegetale
Nooffice, 2011
04 Rain is for free
Frame Works, 2013
14 Libera Scuola del Giardino
myvillages, 2016-Ongoing
05 Pedogenesis
Raffaella Spagna/Andrea Caretto, 2009
15 Tre quarti di sfera con coda
Luigi Mainolfi, 2000
06 Labirintico Antropocene
Piero Gilardi, 2018
16 Isola Bonsai
Bert Theis, 2015
07 La Folie du PAV
Emmanuel Louisgrand, 2009
17 PublicPrivate
Stefano Boccalini, 2017
08 New Alliances
Critical Art Ensemble, 2011-2013
18 Berta
Wurmkos, 2019
09 The Jumpsuit Theme
Sara Enrico, 2017
19 PAV_Herbarium
Raffaella Spagna/Andrea Caretto, 2021
10 Potlatch 13.4
Norma Jeane, 2013
20 L’albero del PAV
Piero Gilardi, 2018
.
21 The School
Marko Tadić , 2024
01
Dominique Gonzalez-Foerster, Trèfle
2006, installazione ambientale
L’opera Trèfle, dono dell’artista progettata e realizzata dall’architetto Gianluca Cosmacini, è la prima installazione artistica del PAV e, inaugurata nel luglio 2006, ha segnato l’inizio delle attività culturali e dei laboratori educativi del Parco Arte Vivente.
La forma di Trèfle, che letteralmente dal francese significa "trifoglio", si ispira a due elementi paesaggistico-architettonici che, in fase di progettazione e realizzazione, si sono sovrapposti e fusi insieme: le chiese etiopi copte di epoca medioevale, realizzate scavando nella roccia su un altipiano della città santa di Lalibela, e il Gran Canyon. L’opera ambientale diventa dunque un vero e proprio paesaggio "alla rovescia", eco del mondo antico che, rispetto alla linea d’orizzonte, si scopre inaspettatamente. Entrambi i luoghi, il sacro e il naturale, hanno suggerito a Dominique Gonzalez-Foerster il senso profondo ed intimo di ciò che accade visceralmente nella terra ed hanno trovato una sintesi formale nel quadrifoglio, elemento naturale diventato tridimensionale presso il sito del PAV e, soprattutto, fuori scala rispetto alle sue normali dimensioni. Il quadrifoglio, infatti, oltre a richiamare la pianta a croce greca delle chiese copte, rimanda contemporaneamente ad un elemento naturale la cui scoperta è in genere inaspettata e legata alla fortuna.
Lo spazio creato da Dominique Gonzalez-Foerster si pone, quindi, come un corpo vivente con il quale interagire e fare esperienza: “Può essere vissuto in tre modi e luoghi diversi – sostiene infatti l’artista – poiché se vi sono 3 bambini, uno può stare sopra, l’altro sotto e l’ultimo nel mezzo”, dove per sopra l’artista intende l’area del parco che circonda l’opera, per sotto il canyon e il percorso in acciottolato, e per mezzo il cuore del quadrifoglio.
02
Collettivo Terra Terra, Focolare
2012, Installazione, materiali vari, dimensioni ambientali
Più che un’installazione Focolare è a tutti gli effetti un’operazione relazionale intorno a un forno comunitario urbano, uno spazio per incontrarsi, conoscersi e condividere saperi in una dimensione domestica e familiare attivata dalla cottura collettiva del pane.
Costruita in terra cruda secondo tecniche tradizionali e a basso impatto ambientale, la struttura di Focolare si presenta essenzialmente come cucina aperta sul parco e in dialogo con esso, ambiente delimitato da una serie di aiuole di piante aromatiche e definito da un pergolato di rampicati ad accogliere lo spazio di lavoro attrezzato con utensili, tavoli e sedute.
Attingendo alla memoria storica di molte comunità rurali, Focolare si inserisce così nel paesaggio urbano del PAV come forma di aggregazione capace di innescare processi di partecipazione e creatività diffusa. Al vecchio forno di paese, dove convergevano periodicamente gli impasti che ogni famiglia produceva, Focolare accoglie gruppi interessati a cuocere il proprio pane. E, nei tempi di cottura e attesa, si trasforma in occasione di scambio di storie e conoscenze, non ultimo per l’individuazione di regole per una gestione autonoma e aperta del forno.
L’autoproduzione collettiva di un nutrimento basilare e universale prospetta un’alternativa creativa, corporea ed ecologica al cibo industriale del consumismo di massa, dove stesso tempo è possibile attivare una consapevolezza su ciò che mangiamo, nel rispetto dei tempi naturali. A livello simbolico, infine, non solo il pane ma anche il fuoco agisce come leva dell’immaginazione, evocando i vitali processi di trasmutazione che fondono gli elementi primari in nuovi complessi e aggregati, fenomeno d’altronde comune all’agire artistico.
I componenti del Collettivo Terra Terra che hanno realizzato l’opera sono: Roberto Bella, Isabella De Vecchi, Elisabetta Foco, Francesca Mazzocca, Alice Mocellin, Annalisa Mosetto, Carlo Riccobono, Nadia Rossetto, Generoso Urciuoli.
03
Gilles Clément, Jardin Mandala
2010, Installazione ambientale permanente, varietà di specie vegetali
Jardin Mandala è il giardino di Gilles Clément (Parigi, 1943) studiato appositamente per la superficie verde del tetto pensile del PAV a partire dalla forma dell’architettura. E’ un giardino percorribile di circa 500mq che – riprendendo idealmente la struttura di un dipinto Mandala buddista, notoriamente costituito da sabbia e pigmenti a sottolineare la delicatezza e l’impermanenza dell’esistenza - fonde nell’impianto vegetale, formato da diverse specie (tra queste Sedum, Euphoria, Stipa e Crocosmia), aspetti di perfezione e caducità della bellezza.
L’intervento si sviluppa sulla sommità della collina che contiene “Bioma”, percorso interattivo permanente di Piero Gilardi. Clément ha voluto così cogliere la sfida di questo sito piantando specie vegetali che si radicano anche nei terreni più aridi e che sopravvivono senza particolari cure di giardinaggio e irrigazione, sollevando così problematiche sull’attuale e globale questione delle risorse idriche. Jardin Mandala illustra la capacità in natura di poter vivere senza ricorrere ad alterazioni dell’assetto paesaggistico impiegando ad esempio pesticidi, ma solo attraverso l’intervento del “giardiniere”, vale a dire colui che osserva e si prende cura dell’ambiente senza opporsi alla sua naturale evoluzione. Questo implica maggiore consapevolezza e coscienza rispetto a tutti gli esseri viventi - che è prerogativa del giardino del futuro - e richiede molto tempo da trascorrere in loco a contatto con il terreno, cioè il “tempo per il tempo della vita”, uno tra i lussi della società contemporanea.
I Mandala, per tradizione, sono uno strumento unico per acquisire la consapevolezza di uno spazio nel quale fissare la mente, centrando la comprensione del proprio mondo interiore affinché “l’altro sia felice” - per usare le parole dell’autore. Jardin Mandala rappresenta allora sia il contenitore che il contenuto, ossia un ecosistema artificiale - poiché si tratta pur sempre di un giardino disegnato dall’uomo - costituito da biodiversità vegetali nel loro costante divenire e scontrarsi per la sopravvivenza. Completano il giardino - la cui massima e rigogliosa estensione sarà visibile a distanza di circa due anni - due bassorilievi realizzati in cemento che riproducono dei disegni ripresi da L’homme symbiotique, testo dello stesso Clément. Si tratta di disegni che rimandano a due elementi naturali: l’albero e l’erba, ossia parti dell’ambiente che, ciclicamente e con tempi diversi, restituiscono alla terra quanto prendono. L’albero e l’erba possono infine diventare modelli organici di una società “ vivente” senza domini e sottomissioni, senza detriti e sfruttamento.
04
Frame Works, Rain is for free
2013, installazione ambientale
La ricerca del duo Frame Works può essere sintetizzata come l’esplorazione di un’“Ecologia umana”. Lo scopo della scultura organica è di far riflettere il visitatore sulla relazione che l’uomo ha con il cosiddetto “oro blu”, dove per acqua si intende la risorsa primaria per la sopravvivenza di tutte le forme viventi, ma anche l’ oggetto di conflitti economici e politici. Attraverso un’azione di rabdomanzia, simbolica e pratica poiché condotta al PAV con un esperto, Frame Works cerca di riportare in superficie qualcosa di invisibile e solitamente nascosto sottoterra. L’idea di cercare nel sottosuolo, atteggiamento tipico del rabdomante, è finalizzata alla materializzazione di un gesto che rifletta sul valore dell’acqua nelle nostre vite, un valore a cui non prestiamo attenzione e che diamo per scontato. Otto bambù cavi creano un insieme di condotti intesi come luoghi di incontro tra l’acqua piovana, accessibile e gratuita, e quella che scorre nelle falde acquifere. Contrassegnando i tronchi con dei numeri – che accostati riportano la data del referendum contro la privatizzazione dell’acqua (12.06.2011) – i due artisti danno vita ad un altro punto di incontro, quello attraverso il quale il popolo italiano ha manifestato una piena consapevolezza rispetto a uno dei beni comuni per eccellenza. Si tratta di un momento della storia italiana in cui le persone si sono unite esprimendo pubblicamente il dissenso collettivo verso politiche di controllo.
L’installazione è stata realizzata durante la residenza RESÒ nell’ambito delle attività promosse da Fondazione CRT per l’Arte Moderna e Contemporanea.
05
Andrea Caretto / Raffaella Spagna
PEDOGENESIS (Orto-Arca - Trasmutatore di Sostanza Organica)
2009-2010, installazione, materiali vari, serra agricola in ferro zincato
Pedogenesis, che dal greco significa “suolo” e “nascita”, richiama la storia in continuo divenire della formazione del suolo. Tra le varie riflessioni sulla “terra”, Andrea Caretto (Torino, 1970) e Raffaella Spagna (Rivoli, 1967), indagano il tema della la nascita del Suolo in quanto “spazio di relazioni” per eccellenza, luogo d’incontro tra geosfera, idrosfera, atmosfera e biosfera. In esso l’organico e l’inorganico entrano in contatto, dando vita a processi di metamorfosi e scambio tra gli stati della materia solido, liquido e gassoso.
All’interno del PAV, dunque, Pedogenesis rappresenta la terra-materia carica di stratificazioni e memorie; a prima vista una sorta di pelle che ricopre l'intera crosta, ma, attraverso l’intervento dei due artisti, si trasforma in un substrato coltivabile per la produzione di cibo. L’obiettivo del loro lavoro è la creazione di un orto urbano, in una dimensione a metà tra pubblico e privato. Ciò significa parlare di cura e attenzione costante per la terra e le specie che vi sono coltivate, in una parola sola, aver “tempo per il tempo della vita”. Beni preziosi, considerati oggi un lusso, sono infatti sia il tempo sia una porzione di terreno in città. Così, Caretto e Spagna donano il lembo di terra loro assegnatoli nell’ambito del progetto Village Green ad un fortunato cittadino vincitore che, per la durata di due anni, potrà coltivare il proprio orto e godere dei frutti raccolti. Inserire l’uomo in un discorso sulla natura e sul vivente significa infatti considerarlo come uno dei tanti attori all'interno del processo pedogenetico, che nella maggior parte dei casi è volta o a interrompere il processo di formazione del suolo o a consumarlo (erosione antropica).
I due artisti predispongono così nel parco la struttura metallica di una serra a tunnel comunemente utilizzata in agricoltura, ma qui fisicamente ribaltata in modo tale che - da contenitore per preservare ed isolare dal cielo - diventi una culla, un’Orto-Arca che accolga il cielo. È la completa negazione del concetto di serra, ma al tempo stesso è la sua apertura al mondo e, appoggiandosi al suolo, rappresenta il punto di unione tra cielo e terra: l’orizzonte.
Ad interporsi nella relazione uomo-suolo, accanto all’Orto-Arca i due artisti collocano il Trasmutatore di Sostanza Organica, una scultura che è anche composter per la produzione di humus, permettendo così all’essere umano, attraverso gli scarti alimentari, di non essere solo un “consumatore di suolo” ma anche un “rigeneratore di suolo”.
Partire dalla terra vuol dunque dire cercare di individuare le basi, semplici e in un certo qual modo antiche, per una comprensione più profonda dei fenomeni naturali, un ritorno a ciò che è essenziale sviluppando una coscienza ecologica autentica.
06
Piero Gilardi, Labirintico Antropocene
2018, installazione ambientale, dimensioni ambientali
La struttura di questa installazione propone un percorso labirintico, come è labirintica la percezione della crisi ambientale nell’opinione pubblica martellata da molteplici fattori di incertezza esistenziale - dal cambiamento climatico ai flussi migratori, dal terrorismo alle minacce di guerra - e disorientata dalle retoriche manipolatorie dei media main stream.
Inoltrandosi nel labirinto verde si trovano alcune edicole che illustrano una serie di progetti in atto in tutto il mondo per combattere la crisi ecologica e instaurare nuove e sostenibili modalità di produzione sociale e di gestione “virtuosa” dell’ambiente naturale.
Scansionando il QR code apposto sui manifesti è possibile lasciare un commento sul sito web del PAV esprimendo le proprie considerazioni su queste tematiche.
07
Emmanuel Louisgrand, La Folie du Pav
2009, Installazione, materiali vari, metallo, piante tintorie
Ispirata all’immagine di una “Folie”, cioè a una dimora-artefatto del giardino alla francese del 18mo secolo, La Folie du Pav è la nuova installazione, intesa come opera evolutiva a metà tra scultura, architettura e giardino, dell’artista francese Emmanuel Louisgrand (1969, St. Etienne-F).
La Folie du Pav è concepita per vivere in modo autonomo ed evolutivo, vale a dire per continuare a suscitare la curiosità dei visitatori del parco per un preciso arco di tempo. Non interessato a interventi estemporanei ed effimeri, l’artista ha infatti elaborato un’installazione della durata di circa due anni, un’operazione che dà dunque vita a una scultura aerea, una forma che offre al visitatore lo spettacolo di una lenta metamorfosi di un luogo in divenire. Formata da una torre centrale alta circa 8 metri, realizzata in metallo e dipinta di arancione, La Folie du Pav è fissata nel terreno senza l’impiego del cemento: scelta senz’altro ecologica, ma soprattutto evocativa, perché la scultura è ancorata e radicata nel suolo esattamente come la messa a dimora di un albero. Alla base della torre, snodandosi all’interno di una pianta quadrata, sono invece seminate le prime piante che ripercorrono la tradizione delle plantes tinctoriales, una specie che, soprattutto nel passato, cioè prima dell’impiego del colorante artificiale, era utilizzata per tingere alcune fibre tessili naturali, come colorante alimentare o per il maquillage.
Infine, attraverso una rete di passerelle in legno, La Folie du Pav diventa una sorta di promenade sospesa, una passeggiata che, solo nel tempo, può diventare luogo d’incontro o meditazione, spazio alchemico e magico, ma soprattutto osservatorio sulla realtà circostante.
08
Critical Art Ensemble, New Alliances
2012, installazione ambientale
New Alliance è il metodo artistico-partecipativo che promuove un’azione di mutuo soccorso tra uomini e piante, mettendo in risalto la condizione di precarietà che accomuna le specie a rischio e le comunità i cui spazi sociali e culturali sono anch’essi instabili o minacciati. In molti Paesi, dove la flora a rischio d’estinzione gode di una protezione legale, esistono leggi che impediscono la raccolta o il danneggiamento di alcune specie vegetali. Si tratta di normative che possono diventare uno strumento, etico e pratico, per battaglie di protezione dei territori. E le piante, sebbene possano sembrare fragili, sono di per sé tenaci e ben equipaggiate per la sopravvivenza. Ci si chiede allora se sia possibile incanalare la loro forza vitale verso quegli spazi umani e naturali che subiscono la minaccia dei più diversi agenti della speculazione interessata esclusivamente allo sfruttamento del territorio. In un certo senso la precarietà in cui vivono le piante a rischio di estinzione (con i loro habitat), è la stessa vissuta dagli individui che, proprio oggi, tornano a rivalutare pratiche di orticoltura urbana, intese come fonte di sussistenza di fronte a una crisi economica che colpisce i cittadini economicamente più fragili. L’atto creativo del metodo New Alliances consiste nel riconoscere, immedesimandosi l’uno nell’altro, la condizione di precarietà biologica e culturale che accomuna, e dunque non divide, tutti gli organismi viventi. Il Critical Art Ensemble propone così di operare tra soggetti dotati di intelligenza e creatività. E, insieme, invertire quel senso di incertezza in una forza costruttiva opposta alla generale condizione di passività, al fine di creare una simbiosi socio-politica intraspecie, tra piante e persone. Il percorso ha visto la semina e la coltivazione di piante dotate di uno stato giuridico che le qualifica come “specie a protezione assoluta” secondo la normativa europea, sia a livello nazionale che locale. Il processo di osservazione, cura e azione teorizzato dal CAE, e sperimentato dal gruppo di lavoro del PAV nell’arco di un anno in diversi luoghi della città, è oggi diffuso attraverso la piantumazione di 100 piante di Catananche caerulea, erbacea perenne a protezione assoluta appartenente alla famiglia della Asteracee. Per proteggerci reciprocamente.
Quattro i siti da salvaguardare in cui sono state posizionate le piante di Catananche Caerulea: Parco Arte Vivente, via Giordano Bruno31; Diogene Bivaccourbano, Rotonda C.so Regio Parco angolo C.so Verona; Centro Diurno del Dipartimento di Salute Mentale “Basaglia” dell’ASL TO 2, via Leoncavallo 2; URBE, via Paganini
09
Sara Enrico, The Jumpsuit Theme
2017, installazione ambientale, cemento, pigmenti
La parola italiana “tuta”, che in inglese conosce diverse traduzioni, porta in sè molteplici sensi: 'Tutti in tuta' proclamava Thayaht nel 1920, lanciando il cartamodello di un indumento fatto in un unico pezzo, veloce ed economico. La tuta ci rimanda all'ambito del gioco, del tempo libero e del relax vissuto tanto negli spazi domestici quanto all'aria aperta. Contemporaneamente, nella sua manifestazione specifica di tuta da lavoro, è uno dei simboli della produttiva fordista.
Per Sara Enrico, questa ambiguità, o apertura semantica, è il punto di partenza di riflessione metaforica, che passa attraverso un abito che implica una postura del corpo, tra il pubblico e il privato, tra il singolo e la collettività, tra l'interno e l'esterno.
Le sculture, che sembrano giocare sulla collina del PAV, sono realizzate in cemento e pigmenti, la 'matrice' è un rudimentale cartamodello, confezionato con un tessuto tecnico. La relazione con le superfici ed i processi di traduzione sono strategie ricorrenti nel lavoro dell'artista la quale, mantenendo un pensiero pittorico, agisce nella tridimensionalità e nello spazio. La doppia valenza che è propria del dispositivo culturale della tuta vuole rispecchiare gli aspetti dicotomici di diritto e dovere, piacere e responsabilità, che dovremmo tenere in considerazione nell'articolare il nostro corpo nello spazio naturale.
10
Norma Jeane, Potlatch 13.4/Portable Catastrophe
2013, installazione vivente
Il titolo del lavoro Potlatch fa riferimento allo sperpero rituale di beni da parte degli indiani di alcune tribù della British Columbia (Canada). Questo genere di cerimonia si basa sull’ostentazione e distruzione di “forme di accumulo”, ma ha anche la funzione di regolare e gestire quanto eccede rispetto alla produzione personale e quanto invece possa essere donato, abbandonato o dissipato.
L’installazione vivente di Norma Jeane è costituita da un saccone (big bag), solitamente impiegato per la movimentazione industriale di sementi, contenente semi di mai. Il contenitore è colto nella sua fase di transito logistico prima della destinazione finale, lasciato come in deposito in attesa di essere trasportato su un cargo marittimo. Il mais scelto come materia prima dell’opera è tra le specie commercialmente più “aggressive” ed iper-selezionate al fine di garantire un’alta percentuale di germinabilità in termini di resa e produttività. Non ultimo, pur essendo originario delle Americhe, il mais caratterizza anche gran parte dell’agricoltura locale, rappresentando un prototipo dell’agricoltura industriale globalizzata. L’artista realizza così una sorta di ecosistema artificiale ma a tutti gli effetti costituito da elementi naturali, e che al PAV è lasciato alla casualità della vita all’aria aperta e degli eventi meteorologici. Costituito dall’accumulo di materiali considerati a priori in eccesso, il substrato nutritivo di Potlatch 13.4/Portable Catastrophe riflette sul cosiddetto surplus delle società capitalizzate teorizzato da George Bataille, quell’eccedenza che necessita di essere “dissipata in modo glorioso o catastrofico”. Nell’opera l’eccesso è circoscritto in un punto denso e fertile di potenziale sviluppo, al pari delle logiche di accumulazione tipiche della produzione industriale. Se dal principio l’installazione costituisce, per sua natura, il nutrimento per volatili, roditori e insetti, nel tempo si alterneranno germinazioni e decomposizioni. In questo modo, lo spettatore diventa a pieno titolo testimone di un’evoluzione biologica che include la lotta per la sopravvivenza di alcune specie; la riproduzione di vegetali in un mix inedito di piante, fiori e frutti in bilico tra decadenza, drammaticità e bellezza.
11
Andrea Magnani, Aneico, Abacco, Adoneo
2017, installazione ambientale, gesso alabastrino, acciaio inox lasercut, acrilico su tela stuccata, corde palustri, PVC film trasparente, exciters waterproof, mini amplificatori, cavi audio.
Aneico, Abacco e Adoneo, le architetture in gesso alabastrino ed acciaio inossidabile, ospitano una sorta di piccolo orto mistico-tecnologico, che nel tentativo poetico di dialogare con il mondo vegetale, coniuga dimensioni mitiche e pratiche tecno-agresti apparentemente antitetiche.
L’installazione fa parte di una piattaforma sperimentale di dialogo con il mondo vegetale. Le architetture in metallo, amplificate da tre coppie di exciters, ospitano rispettivamente, una vite, otto fragole ed erbe spontanee. Ogni 5 minuti una domanda espressa in codice binario e sonorizzata in scala maggiore di Do viene riprodotta dagli amplificatori nell’attesa che le piante, crescendo casualmente all’interno della struttura, forniscano una risposta.
12
Michele Guido, adobe garden project_2020
2020-2022, installazione site specific, terracotta, ingobbi, ferro zincato, bambù, dimensioni ambientali
(Ceramiche d’Arte Dolfi di Ivana Antonini, Montelupo Fiorentino)
adobe garden project_2020 è composta da strutture-contenitori progettati con la funzione di attrarre gli insetti impollinatori. Le sculture composte da moduli ceramici hanno un’altezza di 2,5 m circa e le loro forme riprendono la geometrizzazione di alcune specie vegetali. La parte superiore è stata trattata con degli ingobbi colorati per attrarre gli insetti. L’intervento ha anche finalità educative, che saranno sviluppate tramite progetti a cura delle Attività Educative e Formative del PAV dedicati alla tutela della biodiversità.
Il progetto adobe garden project_2020 è vincitore dell’avviso pubblico PAC2020 - Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
13
No Office , Corpo Vegetale
2011, Installazione ambientale
Costituita da un impalcato in legno di larice lievemente rialzato dal terreno, e scandita da fusti di bambù protesi verso l’alto, Corpo Vegetale è l’installazione vincitrice della prima edizione del PREMIO PAV. Offrendosi in una dimensione pratica (l’opera è percorribile e “abitabile” dai visitatori), ma anche sinestetica, dove fiori, frutti e arbusti posso essere utili per la nidificazione di uccelli e piccoli invertebrati, l’installazione è un vero e proprio microecosistema da esperire e che richiama la vita e tutto ciò che di spontaneo, nella sua estensione, può trovare origine.
Nato da una riflessione sulla "struttura che connette" di Gregory Bateson, principio espresso nel saggio Verso un'ecologia della mente in cui l’autore delinea l’intuizione secondo cui i processi di pensiero e di evoluzione siano governati dalle stesse regole, e che il modo in cui la vita sulla terra ha assorbito le informazioni dal passato per svilupparsi nel tempo si fondi su una “struttura che connette”, Corpo Vegetale è l’intervento (vivente) che intende ricollegare l’essere umano al mondo della vita. Sebbene, infatti, ogni uomo viva dentro un sistema di relazioni ecologiche e di grandi cicli fisici e biologici – attraverso cui respira, beve e mangia – egli ha però perso la fisicità e potenzialità del proprio corpo. Scopo dell’opera, dunque, è suggerire come il corpo non si esaurisca in realtà con l’epidermide: non è infatti quell'ultimo strato di cellule trasparenti, chiamato pelle, a dividerci da tutto il resto. L'aria, l'acqua e il cibo di cui ci nutriamo sono fonti d’informazione che transitano nel nostro corpo-mente, e che ne costituiscono l’essenza organica. Tra i rami e le foglie di questo piccolo intreccio boschivo, base per laboratori di educazione ambientale, può inoltre trovare riparo e sostentamento un nucleo di esseri palpitanti, creature che spesso ci circondano ma della cui presenza quasi mai ci rendiamo conto.
La realizzazione di Corpo Vegetale ha però coinciso, nel mese di aprile 2011, con il disastro nucleare di Fukushima; evento che in modo sostanziale ha fatto riflettere sulla poetica del progetto e che ha portato gli autori a riformularne alcuni assunti. “Sembra infatti eclissarsi ogni apertura dell’essere umano al mondo, ogni spazio di relazione con esso poiché accecati dal potere e dallo sfruttamento utilitaristico di qualsiasi bene e risorsa” – sostengono Felice Gualtieri, Armando Mangone, Maria Luisa Priori (No Office). Fukushima è così diventato il mondo: il FuskushimaMondo. E Corpo Vegetale si è arricchita di piante di vite, grano e un leccio, specie simboliche che rimandano all’abbondanza e alla forza in grado di attirare uccelli, monito di buon auspicio e speranza per il futuro.
14
Myvillages/Wapke Feenstra, Libera Scuola del Giardino
2015-ongoing, installazione ambientale
La Libera Scuola del Giardino mira a definire una nuova e specifica identità collettiva, finalizzata alla coltivazione e lavorazione di prodotti vegetali e si concretizza attraverso un’esperienza comune sviluppata a livello progettuale e fattivo.
L’orto/giardino, coltivato da un gruppo di lavoro e dalle comunità che partecipano ai programmi educativi, si conforma come un contributo all’ International Village Shop, network avviato sin dal 2007 dal collettivo myvillages, che riunisce piattaforme temporanee o permanenti per lo scambio di prodotti locali e che si conforma come una rete internazionale diffusa in spazi sia rurali che urbani. L’attività vede l’avvio progressivo di coltivazioni orticole e arbustive per la microproduzione locale di semilavorati, ottenuti attraverso la crescita delle materie prime, la loro raccolta e lavorazione quali: miele, saponi, oleoliti, unguenti, bagni alle erbe, semi autoctoni.
L’orto/giardino è il luogo della crescita di piante aromatiche i cui fiori o foglie seccati sono utilizzati al naturale o come base per prodotti trasformati. Da tutto il territorio verde vengono raccolti i semi per attuare una politica di libero scambio della disseminazione vegetale, anche di specie a protezione assoluta e a rischio d’estinzione.
15
Luigi Mainolfi, Tre quarti di sfera con coda
2000, Installazione, ferro, cm 200x200x600
Donata dall’artista al PAV attraverso un comodato d’uso di 5 anni, Tre quarti di sfera con coda si inserisce nel vivo della riflessione e del ripensamento del linguaggio scultoreo dell’antitradizionalismo di forma e materiali propri degli anni Novanta del Novecento, ma che trovano radici profonde fin dagli anni Settanta con le prime esperienze minimaliste. È in ogni caso un atteggiamento di rilettura del “fare scultura” quello che accompagna tutta la ricerca di Luigi Mainolfi (1948, Rotondi - AV; vive a Torino) e che, in particolar modo, prende forma nelle serie Tamburi, Campane e Campanacci (1988-89), Paesaggi (1994), Gabbie (1997) e Disegni di Ferro (1999).
Pur essendo un artista che alla scultura associa la fatica della forgiatura e la maestria tipica dell’officina, dove nulla è immateriale, egli si definisce a tutti gli effetti uno scultore che “disegna” con il bronzo e il ferro. Le sue opere sono infatti disegni tridimensionali e, anche se il modulo geometrico su cui si basano potrebbe apparire un’astrazione, o un canone, di fatto non è che la dimostrazione della necessità tattile che spinge costantemente Mainolfi a costruire materialmente le sue fantasie dando forma alle idee impresse sulla carta. Semplicemente intitolata Tre quarti di sfera con coda - poiché appare fisicamente con tre quarti di sfera e un prolungamento codiforme, quasi una sorta di richiamo stilizzato alla forma di uno spermatozoo - l’opera è in realtà composta dalla trasparenza e dal vuoto incorniciati dal ferro corroso dal tempo. La scultura di Mainolfi è un vedere attraverso: dentro, infatti, si vedono forme che altro non sono se non il modello di altre opere. Sono le forme che l’opera avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per l’altra, diventata come oggi la vediamo. È un’opera che, offrendosi allo sguardo curioso di chi vuole scoprire cosa c’è dietro, sembra difendere con una corazza il proprio corpo interno. In questo modo, Mainolfi costringe l'osservatore a scontrarsi con la “pelle” della scultura, stimolando la sua attenzione non in direzione della profondità, ma in quella dell’estensione superficiale. La scultura, per quanto nata dal disegno, è materia, è corpo organico che non necessita di supporti o basamenti. È carica di energia pulsante, abita la terra ma risiede anche sotto la vastità del cielo, ed è a tutti gli effetti una città investita di forza e vitalità.
Anche nella più recente produzione, strutture piramidali, paesaggi in ferro e gabbie dalle sembianze animali costituiscono solo alcune delle modulazioni di quella “superficie della scultura”, che apparentemente subisce una sorta di raffreddamento nell’epidermide dovuto alla regolarizzazione in strutture in metallo, ma che in realtà sono ancora una volta riscaldate dalla loro forza espressiva. Tre quarti di sfera con coda diventa portatrice al PAV di vicende storiche proprie dell’arte e rappresenta la memoria intesa come base per il futuro in un presente stravolto e incerto.
16
Bert Theis, Isola Bonsai
2015, installazione ambientale
Con il workshop Isola Bonsai i cittadini dell’Isola Pepe Verde di Milano e Bert Theis hanno lavorato con il PAV e con i residenti della zona per costruire l’ennesimo pezzo concreto di Isola Utopia. Si tratta di un incontro di vicinanze in cui scambiare esperienze di vita comunitaria in zone ex industriali, entrambe, pur con processi differenti, preservate dalla cementificazione di cui soffrono le aree urbane in trasformazione. L’incontro fra Isola Pepe Verde e PAV stringe un’alleanza attraverso il segno tangibile della volontà di resistenza e autodeterminazione di chi i territori li abita e li difende, rendendo liberi e accessibili gli spazi al fine di facilitare scambi culturali, sociali, educativi e conviviali.
Nei due giorni di attività è stato messo in atto il metodo di produzione collettiva proposto da Isola Pepe Verde, dando vita all’aiuola realizzata con le piante provenienti dal giardino milanese, cui è seguito lo scambio con piante presenti nel territorio del PAV.
All’auto-costruzione del giardino e all’intervento di pittura murale, condotto da Edith Poirier, hanno lavorato un gruppo di attivisti e artisti del progetto autogestito milanese e gli abitanti del nostro quartiere, oltre a persone interessate a conoscere le importanti esperienze improntate alla progettazione e alla cura degli spazi comuni.
17
Stefano Boccalini, PublicPrivate
2017, ferro, acciaio / iron, steel, 100 x 530 x 25 cm
L’installazione PublicPrivate è stata creata con materiali somiglianti da un punto di vista estetico, ma con caratteristiche tecniche differenti. Il ferro e l’acciaio appena lucidati appaiono simili, ma se esposti agli agenti atmosferici reagiscono in modo differente: il ferro tende ad arrugginire e col passare del tempo si deteriora, mentre l’acciaio mantiene la sua brillantezza originale. Le parole “public” e “private” sono un chiaro riferimento all’acqua quale bene pubblico, oggi più che mai tema attuale e preoccupante. Col passare del tempo l’opera si modificherà e metterà in evidenza in modo sempre più preciso la differenza tra le due parole, esteticamente e concettualmente, con l’intento di attivare una riflessione più generale su quelli che consideriamo i beni comuni.
18
Wurmkos, Berta
2019, installazione site specific, dimensioni variabili
Il progetto Berta è dedicato all’ambientalista honduregna Berta Cáceres, assassinata nel 2016. L’intervento recupera i concetti antropologici della cultura materiale contadina, determinata dalle stagioni e dal al tempo della terra: una forma di resistenza diversificata. Attraverso la piantumazione di 10 ceppi di vitigno di uva nera, il gruppo Wurmkos vuole creare un habitat, un pergolato/casa dove l’auto-rigenerazione e la circolarità si sottraggono allo sfruttamento lineare imposto dai consumi e dalla forma compiuta di un lavoro d’arte. Il pergolato/habitat, la cui forma iniziale si modificherà a seconda della crescita della vite, avrà molte funzioni: un punto d’incontro per la gente del quartiere, ma anche luogo di discussione per attivisti, nel ricordo di Berta Cáceres. Durante l’inaugurazione, un momento di silenzio si configura come un piccolo nuovo rito, che invita a sentire il tempo e la vigna. L’uva verrà pigiata e si produrrà una piccola serie di bottiglie di vino di Wurmkos e del PAV, trasformando la vendemmia e la pigiatura del vino in un momento di festa.
19
Andrea Caretto / Raffaella Spagna
PAV_Herbarium
2021, legno massello, lamellare, listellare e multistrato di: Abies sp. (Abete/spruce), Fraxinus excelsior (Frassino/ash), Ulmus campestris (Olmo/elm), Castanea sativa (Castagno/chestnut), Populus sp. (Pioppo/poplar), Swietenia sp, (Mogano/mahogany), Triplochiton scleroxylon (Obeche o Ayous), Fagus sylvatica (Faggio/beech), Quercus robur (Farnia/English oak), Quercus petraea (Rovere/durmast), Pyrus communis (Pero/pear tree), Tilia europaea (Tiglio/lime), Pinus palustris (Yellow Pine), Pterygota sp. (Kotò), Larix decidua (Larice/larch), Prunus avium (Ciliegio/cherry-tree), Acer pseudoplatanus (Acero/maple), Carpinus betulus (Carpino/hornbeam), Alnus glutinosa (Ontano nero/black alder), Salix alba (Salice bianco/white sallow), Aningeria sp. (Noce/walnut Tanganica).50 esemplari di piante essiccate, raccolte e determinate collettivamente, lastre di polimetacrilato e policarbonato trasparente, ferro, lastre di argilloscisti (ardesia).
PAV_Herbarium è uno spazio ad hoc per catalogare e conservare le specie botaniche raccolte nel territorio del Pav attraverso pratiche collettive condotte dagli artisti sin dall’avvio del progetto PAV, nel 2006 e, da allora, in continuo aggiornamento.
All’interno di espositori realizzati con legni di varia natura e provenienza, il visitatore può osservare 50 campioni vegetali selezionati fra le numerose specie di piante spontanee presenti nel parco, insieme a libri in consultazione ed una collezione di materiali naturali, oggetti e piccole sculture. L’installazione è concepita come un organismo in crescita e trasformazione; oltre alle specie esposte, l’installazione comprende un erbario digitale, anch’esso in divenire, per approfondire in modo esaustivo la conoscenza delle specie sin qui catalogate.
20
Piero Gilardi, L’albero del PAV
2018, installazione ambientale luminosa permanente, inclusa nel circuito cittadino di Luci d’Artista
In tutte le culture umane, nello spazio e nel tempo, la figura dell’albero è molto significativa come tramite simbolico, tra la terra e il cielo. L’albero del PAV, arabescato di luce colorata, intende divenire un augurale preludio simbolico per i cittadini che si avventurano nel Centro d’arte contemporanea, tra le macchie di verde profumato alla ricerca dei segni di un’arte ecologica che celebra il nostro reincanto per la natura.
21
Marko Tadić, The School
2024, mattoni, intonaco, tre elementi, cm 82x61x82 - 180x100x180 - 250x104x138
"The School" è un intervento permanente dell'artista croato Marko Tadić pensato per il PAV, un’area di sosta accogliente e vivibile dal pubblico e dalle scuole durante le visite nel verde. Un'installazione spaziale la cui conformazione decostruisce uno ziggurat e invita il visitatore a sedersi, leggere, discutere, insegnare, riunirsi all'aperto o semplicemente sdraiarsi al sole. Uno spazio pubblico da utilizzare come meglio si crede. Una piattaforma aperta che invita a osservare il parco del PAV, il cielo sopra di esso, ma anche i dettagli a terra, come l'erba, le piante e gli insetti attraverso uno sguardo che va dal micro al macro. "The School" riprende la tradizione di quelle scuole filosofiche che trovavano posto in spazi all'aperto, come i gradini di una piazza pubblica, portici di passaggio, aree verdi e parchi.
L'installazione di Tadić è aperta e invita i visitatori a usarla come punto di vista, sia in senso letterale che metaforico.
Parte di New Perspectives for Action. Un Progetto di Re-Imagine Europe, cofinanziato dall'Unione europea.
Dopo la realizzazione nel 2006 della prima installazione ambientale, Trèfle di Dominique Gonzalez-Foerster, il Parco Arte Vivente, dal 2008 ospita nell’area verde di 23 mila mq installazioni di tipo permanente e semi-permanente.
01 Trèfle
Dominique Gonzalez-Foerster, 2006
02 Focolare
Collettivo Terra Terra, 2012
03 Jardin Mandala
Gilles Clément, 2010
04 Rain is for free
Frame Works, 2013
05 Pedogenesis
Raffaella Spagna/Andrea Caretto, 2009
06 Labirintico Antropocene
Piero Gilardi, 2018
07 La Folie du PAV
Emmanuel Louisgrand, 2009
08 New Alliances
Critical Art Ensemble, 2011-2013
09 The Jumpsuit Theme
Sara Enrico, 2017
10 Potlatch 13.4
Norma Jeane, 2013
11 Aneico, Abacco e Adoneo
Andrea Magnani, 2017
12 adobe garden project_2020
Michele Guido, 2020-2022
13 Corpo Vegetale
Nooffice, 2011
14 Libera Scuola del Giardino
myvillages, 2016-Ongoing
15 Tre quarti di sfera con coda
Luigi Mainolfi, 2000
16 Isola Bonsai
Bert Theis, 2015
17 PublicPrivate
Stefano Boccalini, 2017
18 Berta
Wurmkos, 2019
19 PAV_Herbarium
Raffaella Spagna/Andrea Caretto, 2021
20 L’albero del PAV
Piero Gilardi, 2018
21 The School
Marko Tadić , 2024
01
Dominique Gonzalez-Foerster, Trèfle
2006, installazione ambientale
L’opera Trèfle, dono dell’artista progettata e realizzata dall’architetto Gianluca Cosmacini, è la prima installazione artistica del PAV e, inaugurata nel luglio 2006, ha segnato l’inizio delle attività culturali e dei laboratori educativi del Parco Arte Vivente.
La forma di Trèfle, che letteralmente dal francese significa "trifoglio", si ispira a due elementi paesaggistico-architettonici che, in fase di progettazione e realizzazione, si sono sovrapposti e fusi insieme: le chiese etiopi copte di epoca medioevale, realizzate scavando nella roccia su un altipiano della città santa di Lalibela, e il Gran Canyon. L’opera ambientale diventa dunque un vero e proprio paesaggio "alla rovescia", eco del mondo antico che, rispetto alla linea d’orizzonte, si scopre inaspettatamente. Entrambi i luoghi, il sacro e il naturale, hanno suggerito a Dominique Gonzalez-Foerster il senso profondo ed intimo di ciò che accade visceralmente nella terra ed hanno trovato una sintesi formale nel quadrifoglio, elemento naturale diventato tridimensionale presso il sito del PAV e, soprattutto, fuori scala rispetto alle sue normali dimensioni. Il quadrifoglio, infatti, oltre a richiamare la pianta a croce greca delle chiese copte, rimanda contemporaneamente ad un elemento naturale la cui scoperta è in genere inaspettata e legata alla fortuna.
Lo spazio creato da Dominique Gonzalez-Foerster si pone, quindi, come un corpo vivente con il quale interagire e fare esperienza: “Può essere vissuto in tre modi e luoghi diversi – sostiene infatti l’artista – poiché se vi sono 3 bambini, uno può stare sopra, l’altro sotto e l’ultimo nel mezzo”, dove per sopra l’artista intende l’area del parco che circonda l’opera, per sotto il canyon e il percorso in acciottolato, e per mezzo il cuore del quadrifoglio.
02
Collettivo Terra Terra, Focolare
2012, Installazione, materiali vari, dimensioni ambientali
Più che un’installazione Focolare è a tutti gli effetti un’operazione relazionale intorno a un forno comunitario urbano, uno spazio per incontrarsi, conoscersi e condividere saperi in una dimensione domestica e familiare attivata dalla cottura collettiva del pane.
Costruita in terra cruda secondo tecniche tradizionali e a basso impatto ambientale, la struttura di Focolare si presenta essenzialmente come cucina aperta sul parco e in dialogo con esso, ambiente delimitato da una serie di aiuole di piante aromatiche e definito da un pergolato di rampicati ad accogliere lo spazio di lavoro attrezzato con utensili, tavoli e sedute.
Attingendo alla memoria storica di molte comunità rurali, Focolare si inserisce così nel paesaggio urbano del PAV come forma di aggregazione capace di innescare processi di partecipazione e creatività diffusa. Al vecchio forno di paese, dove convergevano periodicamente gli impasti che ogni famiglia produceva, Focolare accoglie gruppi interessati a cuocere il proprio pane. E, nei tempi di cottura e attesa, si trasforma in occasione di scambio di storie e conoscenze, non ultimo per l’individuazione di regole per una gestione autonoma e aperta del forno.
L’autoproduzione collettiva di un nutrimento basilare e universale prospetta un’alternativa creativa, corporea ed ecologica al cibo industriale del consumismo di massa, dove stesso tempo è possibile attivare una consapevolezza su ciò che mangiamo, nel rispetto dei tempi naturali. A livello simbolico, infine, non solo il pane ma anche il fuoco agisce come leva dell’immaginazione, evocando i vitali processi di trasmutazione che fondono gli elementi primari in nuovi complessi e aggregati, fenomeno d’altronde comune all’agire artistico.
I componenti del Collettivo Terra Terra che hanno realizzato l’opera sono: Roberto Bella, Isabella De Vecchi, Elisabetta Foco, Francesca Mazzocca, Alice Mocellin, Annalisa Mosetto, Carlo Riccobono, Nadia Rossetto, Generoso Urciuoli.
03
Gilles Clément, Jardin Mandala
2010, Installazione ambientale permanente, varietà di specie vegetali
Jardin Mandala è il giardino di Gilles Clément (Parigi, 1943) studiato appositamente per la superficie verde del tetto pensile del PAV a partire dalla forma dell’architettura. E’ un giardino percorribile di circa 500mq che – riprendendo idealmente la struttura di un dipinto Mandala buddista, notoriamente costituito da sabbia e pigmenti a sottolineare la delicatezza e l’impermanenza dell’esistenza - fonde nell’impianto vegetale, formato da diverse specie (tra queste Sedum, Euphoria, Stipa e Crocosmia), aspetti di perfezione e caducità della bellezza.
L’intervento si sviluppa sulla sommità della collina che contiene “Bioma”, percorso interattivo permanente di Piero Gilardi. Clément ha voluto così cogliere la sfida di questo sito piantando specie vegetali che si radicano anche nei terreni più aridi e che sopravvivono senza particolari cure di giardinaggio e irrigazione, sollevando così problematiche sull’attuale e globale questione delle risorse idriche. Jardin Mandala illustra la capacità in natura di poter vivere senza ricorrere ad alterazioni dell’assetto paesaggistico impiegando ad esempio pesticidi, ma solo attraverso l’intervento del “giardiniere”, vale a dire colui che osserva e si prende cura dell’ambiente senza opporsi alla sua naturale evoluzione. Questo implica maggiore consapevolezza e coscienza rispetto a tutti gli esseri viventi - che è prerogativa del giardino del futuro - e richiede molto tempo da trascorrere in loco a contatto con il terreno, cioè il “tempo per il tempo della vita”, uno tra i lussi della società contemporanea.
I Mandala, per tradizione, sono uno strumento unico per acquisire la consapevolezza di uno spazio nel quale fissare la mente, centrando la comprensione del proprio mondo interiore affinché “l’altro sia felice” - per usare le parole dell’autore. Jardin Mandala rappresenta allora sia il contenitore che il contenuto, ossia un ecosistema artificiale - poiché si tratta pur sempre di un giardino disegnato dall’uomo - costituito da biodiversità vegetali nel loro costante divenire e scontrarsi per la sopravvivenza. Completano il giardino - la cui massima e rigogliosa estensione sarà visibile a distanza di circa due anni - due bassorilievi realizzati in cemento che riproducono dei disegni ripresi da L’homme symbiotique, testo dello stesso Clément. Si tratta di disegni che rimandano a due elementi naturali: l’albero e l’erba, ossia parti dell’ambiente che, ciclicamente e con tempi diversi, restituiscono alla terra quanto prendono. L’albero e l’erba possono infine diventare modelli organici di una società “ vivente” senza domini e sottomissioni, senza detriti e sfruttamento.
04
Frame Works, Rain is for free
2013, installazione ambientale
La ricerca del duo Frame Works può essere sintetizzata come l’esplorazione di un’“Ecologia umana”. Lo scopo della scultura organica è di far riflettere il visitatore sulla relazione che l’uomo ha con il cosiddetto “oro blu”, dove per acqua si intende la risorsa primaria per la sopravvivenza di tutte le forme viventi, ma anche l’ oggetto di conflitti economici e politici. Attraverso un’azione di rabdomanzia, simbolica e pratica poiché condotta al PAV con un esperto, Frame Works cerca di riportare in superficie qualcosa di invisibile e solitamente nascosto sottoterra. L’idea di cercare nel sottosuolo, atteggiamento tipico del rabdomante, è finalizzata alla materializzazione di un gesto che rifletta sul valore dell’acqua nelle nostre vite, un valore a cui non prestiamo attenzione e che diamo per scontato. Otto bambù cavi creano un insieme di condotti intesi come luoghi di incontro tra l’acqua piovana, accessibile e gratuita, e quella che scorre nelle falde acquifere. Contrassegnando i tronchi con dei numeri – che accostati riportano la data del referendum contro la privatizzazione dell’acqua (12.06.2011) – i due artisti danno vita ad un altro punto di incontro, quello attraverso il quale il popolo italiano ha manifestato una piena consapevolezza rispetto a uno dei beni comuni per eccellenza. Si tratta di un momento della storia italiana in cui le persone si sono unite esprimendo pubblicamente il dissenso collettivo verso politiche di controllo.
L’installazione è stata realizzata durante la residenza RESÒ nell’ambito delle attività promosse da Fondazione CRT per l’Arte Moderna e Contemporanea.
05
Andrea Caretto / Raffaella Spagna
PEDOGENESIS (Orto-Arca - Trasmutatore di Sostanza Organica)
2009-2010, installazione, materiali vari, serra agricola in ferro zincato
Pedogenesis, che dal greco significa “suolo” e “nascita”, richiama la storia in continuo divenire della formazione del suolo. Tra le varie riflessioni sulla “terra”, Andrea Caretto (Torino, 1970) e Raffaella Spagna (Rivoli, 1967), indagano il tema della la nascita del Suolo in quanto “spazio di relazioni” per eccellenza, luogo d’incontro tra geosfera, idrosfera, atmosfera e biosfera. In esso l’organico e l’inorganico entrano in contatto, dando vita a processi di metamorfosi e scambio tra gli stati della materia solido, liquido e gassoso.
All’interno del PAV, dunque, Pedogenesis rappresenta la terra-materia carica di stratificazioni e memorie; a prima vista una sorta di pelle che ricopre l'intera crosta, ma, attraverso l’intervento dei due artisti, si trasforma in un substrato coltivabile per la produzione di cibo. L’obiettivo del loro lavoro è la creazione di un orto urbano, in una dimensione a metà tra pubblico e privato. Ciò significa parlare di cura e attenzione costante per la terra e le specie che vi sono coltivate, in una parola sola, aver “tempo per il tempo della vita”. Beni preziosi, considerati oggi un lusso, sono infatti sia il tempo sia una porzione di terreno in città. Così, Caretto e Spagna donano il lembo di terra loro assegnatoli nell’ambito del progetto Village Green ad un fortunato cittadino vincitore che, per la durata di due anni, potrà coltivare il proprio orto e godere dei frutti raccolti. Inserire l’uomo in un discorso sulla natura e sul vivente significa infatti considerarlo come uno dei tanti attori all'interno del processo pedogenetico, che nella maggior parte dei casi è volta o a interrompere il processo di formazione del suolo o a consumarlo (erosione antropica).
I due artisti predispongono così nel parco la struttura metallica di una serra a tunnel comunemente utilizzata in agricoltura, ma qui fisicamente ribaltata in modo tale che - da contenitore per preservare ed isolare dal cielo - diventi una culla, un’Orto-Arca che accolga il cielo. È la completa negazione del concetto di serra, ma al tempo stesso è la sua apertura al mondo e, appoggiandosi al suolo, rappresenta il punto di unione tra cielo e terra: l’orizzonte.
Ad interporsi nella relazione uomo-suolo, accanto all’Orto-Arca i due artisti collocano il Trasmutatore di Sostanza Organica, una scultura che è anche composter per la produzione di humus, permettendo così all’essere umano, attraverso gli scarti alimentari, di non essere solo un “consumatore di suolo” ma anche un “rigeneratore di suolo”.
Partire dalla terra vuol dunque dire cercare di individuare le basi, semplici e in un certo qual modo antiche, per una comprensione più profonda dei fenomeni naturali, un ritorno a ciò che è essenziale sviluppando una coscienza ecologica autentica.
06
Piero Gilardi, Labirintico Antropocene
2018, installazione ambientale, dimensioni ambientali
La struttura di questa installazione propone un percorso labirintico, come è labirintica la percezione della crisi ambientale nell’opinione pubblica martellata da molteplici fattori di incertezza esistenziale - dal cambiamento climatico ai flussi migratori, dal terrorismo alle minacce di guerra - e disorientata dalle retoriche manipolatorie dei media main stream.
Inoltrandosi nel labirinto verde si trovano alcune edicole che illustrano una serie di progetti in atto in tutto il mondo per combattere la crisi ecologica e instaurare nuove e sostenibili modalità di produzione sociale e di gestione “virtuosa” dell’ambiente naturale.
Scansionando il QR code apposto sui manifesti è possibile lasciare un commento sul sito web del PAV esprimendo le proprie considerazioni su queste tematiche.
07
Emmanuel Louisgrand, La Folie du Pav
2009, Installazione, materiali vari, metallo, piante tintorie
Ispirata all’immagine di una “Folie”, cioè a una dimora-artefatto del giardino alla francese del 18mo secolo, La Folie du Pav è la nuova installazione, intesa come opera evolutiva a metà tra scultura, architettura e giardino, dell’artista francese Emmanuel Louisgrand (1969, St. Etienne-F).
La Folie du Pav è concepita per vivere in modo autonomo ed evolutivo, vale a dire per continuare a suscitare la curiosità dei visitatori del parco per un preciso arco di tempo. Non interessato a interventi estemporanei ed effimeri, l’artista ha infatti elaborato un’installazione della durata di circa due anni, un’operazione che dà dunque vita a una scultura aerea, una forma che offre al visitatore lo spettacolo di una lenta metamorfosi di un luogo in divenire. Formata da una torre centrale alta circa 8 metri, realizzata in metallo e dipinta di arancione, La Folie du Pav è fissata nel terreno senza l’impiego del cemento: scelta senz’altro ecologica, ma soprattutto evocativa, perché la scultura è ancorata e radicata nel suolo esattamente come la messa a dimora di un albero. Alla base della torre, snodandosi all’interno di una pianta quadrata, sono invece seminate le prime piante che ripercorrono la tradizione delle plantes tinctoriales, una specie che, soprattutto nel passato, cioè prima dell’impiego del colorante artificiale, era utilizzata per tingere alcune fibre tessili naturali, come colorante alimentare o per il maquillage.
Infine, attraverso una rete di passerelle in legno, La Folie du Pav diventa una sorta di promenade sospesa, una passeggiata che, solo nel tempo, può diventare luogo d’incontro o meditazione, spazio alchemico e magico, ma soprattutto osservatorio sulla realtà circostante.
08
Critical Art Ensemble, New Alliances
2012, installazione ambientale
New Alliance è il metodo artistico-partecipativo che promuove un’azione di mutuo soccorso tra uomini e piante, mettendo in risalto la condizione di precarietà che accomuna le specie a rischio e le comunità i cui spazi sociali e culturali sono anch’essi instabili o minacciati. In molti Paesi, dove la flora a rischio d’estinzione gode di una protezione legale, esistono leggi che impediscono la raccolta o il danneggiamento di alcune specie vegetali. Si tratta di normative che possono diventare uno strumento, etico e pratico, per battaglie di protezione dei territori. E le piante, sebbene possano sembrare fragili, sono di per sé tenaci e ben equipaggiate per la sopravvivenza. Ci si chiede allora se sia possibile incanalare la loro forza vitale verso quegli spazi umani e naturali che subiscono la minaccia dei più diversi agenti della speculazione interessata esclusivamente allo sfruttamento del territorio. In un certo senso la precarietà in cui vivono le piante a rischio di estinzione (con i loro habitat), è la stessa vissuta dagli individui che, proprio oggi, tornano a rivalutare pratiche di orticoltura urbana, intese come fonte di sussistenza di fronte a una crisi economica che colpisce i cittadini economicamente più fragili. L’atto creativo del metodo New Alliances consiste nel riconoscere, immedesimandosi l’uno nell’altro, la condizione di precarietà biologica e culturale che accomuna, e dunque non divide, tutti gli organismi viventi. Il Critical Art Ensemble propone così di operare tra soggetti dotati di intelligenza e creatività. E, insieme, invertire quel senso di incertezza in una forza costruttiva opposta alla generale condizione di passività, al fine di creare una simbiosi socio-politica intraspecie, tra piante e persone. Il percorso ha visto la semina e la coltivazione di piante dotate di uno stato giuridico che le qualifica come “specie a protezione assoluta” secondo la normativa europea, sia a livello nazionale che locale. Il processo di osservazione, cura e azione teorizzato dal CAE, e sperimentato dal gruppo di lavoro del PAV nell’arco di un anno in diversi luoghi della città, è oggi diffuso attraverso la piantumazione di 100 piante di Catananche caerulea, erbacea perenne a protezione assoluta appartenente alla famiglia della Asteracee. Per proteggerci reciprocamente.
Quattro i siti da salvaguardare in cui sono state posizionate le piante di Catananche Caerulea: Parco Arte Vivente, via Giordano Bruno31; Diogene Bivaccourbano, Rotonda C.so Regio Parco angolo C.so Verona; Centro Diurno del Dipartimento di Salute Mentale “Basaglia” dell’ASL TO 2, via Leoncavallo 2; URBE, via Paganini
09
Sara Enrico, The Jumpsuit Theme
2017, installazione ambientale, cemento, pigmenti
La parola italiana “tuta”, che in inglese conosce diverse traduzioni, porta in sè molteplici sensi: 'Tutti in tuta' proclamava Thayaht nel 1920, lanciando il cartamodello di un indumento fatto in un unico pezzo, veloce ed economico. La tuta ci rimanda all'ambito del gioco, del tempo libero e del relax vissuto tanto negli spazi domestici quanto all'aria aperta. Contemporaneamente, nella sua manifestazione specifica di tuta da lavoro, è uno dei simboli della produttiva fordista.
Per Sara Enrico, questa ambiguità, o apertura semantica, è il punto di partenza di riflessione metaforica, che passa attraverso un abito che implica una postura del corpo, tra il pubblico e il privato, tra il singolo e la collettività, tra l'interno e l'esterno.
Le sculture, che sembrano giocare sulla collina del PAV, sono realizzate in cemento e pigmenti, la 'matrice' è un rudimentale cartamodello, confezionato con un tessuto tecnico. La relazione con le superfici ed i processi di traduzione sono strategie ricorrenti nel lavoro dell'artista la quale, mantenendo un pensiero pittorico, agisce nella tridimensionalità e nello spazio. La doppia valenza che è propria del dispositivo culturale della tuta vuole rispecchiare gli aspetti dicotomici di diritto e dovere, piacere e responsabilità, che dovremmo tenere in considerazione nell'articolare il nostro corpo nello spazio naturale.
10
Norma Jeane, Potlatch 13.4/Portable Catastrophe
2013, installazione vivente
Il titolo del lavoro Potlatch fa riferimento allo sperpero rituale di beni da parte degli indiani di alcune tribù della British Columbia (Canada). Questo genere di cerimonia si basa sull’ostentazione e distruzione di “forme di accumulo”, ma ha anche la funzione di regolare e gestire quanto eccede rispetto alla produzione personale e quanto invece possa essere donato, abbandonato o dissipato.
L’installazione vivente di Norma Jeane è costituita da un saccone (big bag), solitamente impiegato per la movimentazione industriale di sementi, contenente semi di mai. Il contenitore è colto nella sua fase di transito logistico prima della destinazione finale, lasciato come in deposito in attesa di essere trasportato su un cargo marittimo. Il mais scelto come materia prima dell’opera è tra le specie commercialmente più “aggressive” ed iper-selezionate al fine di garantire un’alta percentuale di germinabilità in termini di resa e produttività. Non ultimo, pur essendo originario delle Americhe, il mais caratterizza anche gran parte dell’agricoltura locale, rappresentando un prototipo dell’agricoltura industriale globalizzata. L’artista realizza così una sorta di ecosistema artificiale ma a tutti gli effetti costituito da elementi naturali, e che al PAV è lasciato alla casualità della vita all’aria aperta e degli eventi meteorologici. Costituito dall’accumulo di materiali considerati a priori in eccesso, il substrato nutritivo di Potlatch 13.4/Portable Catastrophe riflette sul cosiddetto surplus delle società capitalizzate teorizzato da George Bataille, quell’eccedenza che necessita di essere “dissipata in modo glorioso o catastrofico”. Nell’opera l’eccesso è circoscritto in un punto denso e fertile di potenziale sviluppo, al pari delle logiche di accumulazione tipiche della produzione industriale. Se dal principio l’installazione costituisce, per sua natura, il nutrimento per volatili, roditori e insetti, nel tempo si alterneranno germinazioni e decomposizioni. In questo modo, lo spettatore diventa a pieno titolo testimone di un’evoluzione biologica che include la lotta per la sopravvivenza di alcune specie; la riproduzione di vegetali in un mix inedito di piante, fiori e frutti in bilico tra decadenza, drammaticità e bellezza.
11
Andrea Magnani, Aneico, Abacco, Adoneo
2017, installazione ambientale, gesso alabastrino, acciaio inox lasercut, acrilico su tela stuccata, corde palustri, PVC film trasparente, exciters waterproof, mini amplificatori, cavi audio.
Aneico, Abacco e Adoneo, le architetture in gesso alabastrino ed acciaio inossidabile, ospitano una sorta di piccolo orto mistico-tecnologico, che nel tentativo poetico di dialogare con il mondo vegetale, coniuga dimensioni mitiche e pratiche tecno-agresti apparentemente antitetiche.
L’installazione fa parte di una piattaforma sperimentale di dialogo con il mondo vegetale. Le architetture in metallo, amplificate da tre coppie di exciters, ospitano rispettivamente, una vite, otto fragole ed erbe spontanee. Ogni 5 minuti una domanda espressa in codice binario e sonorizzata in scala maggiore di Do viene riprodotta dagli amplificatori nell’attesa che le piante, crescendo casualmente all’interno della struttura, forniscano una risposta.
12
Michele Guido, adobe garden project_2020
2020-2022, installazione site specific, terracotta, ingobbi, ferro zincato, bambù, dimensioni ambientali
(Ceramiche d’Arte Dolfi di Ivana Antonini, Montelupo Fiorentino)
adobe garden project_2020 è composta da strutture-contenitori progettati con la funzione di attrarre gli insetti impollinatori. Le sculture composte da moduli ceramici hanno un’altezza di 2,5 m circa e le loro forme riprendono la geometrizzazione di alcune specie vegetali. La parte superiore è stata trattata con degli ingobbi colorati per attrarre gli insetti. L’intervento ha anche finalità educative, che saranno sviluppate tramite progetti a cura delle Attività Educative e Formative del PAV dedicati alla tutela della biodiversità.
Il progetto adobe garden project_2020 è vincitore dell’avviso pubblico PAC2020 - Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
13
No Office , Corpo Vegetale
2011, Installazione ambientale
Costituita da un impalcato in legno di larice lievemente rialzato dal terreno, e scandita da fusti di bambù protesi verso l’alto, Corpo Vegetale è l’installazione vincitrice della prima edizione del PREMIO PAV. Offrendosi in una dimensione pratica (l’opera è percorribile e “abitabile” dai visitatori), ma anche sinestetica, dove fiori, frutti e arbusti posso essere utili per la nidificazione di uccelli e piccoli invertebrati, l’installazione è un vero e proprio microecosistema da esperire e che richiama la vita e tutto ciò che di spontaneo, nella sua estensione, può trovare origine.
Nato da una riflessione sulla "struttura che connette" di Gregory Bateson, principio espresso nel saggio Verso un'ecologia della mente in cui l’autore delinea l’intuizione secondo cui i processi di pensiero e di evoluzione siano governati dalle stesse regole, e che il modo in cui la vita sulla terra ha assorbito le informazioni dal passato per svilupparsi nel tempo si fondi su una “struttura che connette”, Corpo Vegetale è l’intervento (vivente) che intende ricollegare l’essere umano al mondo della vita. Sebbene, infatti, ogni uomo viva dentro un sistema di relazioni ecologiche e di grandi cicli fisici e biologici – attraverso cui respira, beve e mangia – egli ha però perso la fisicità e potenzialità del proprio corpo. Scopo dell’opera, dunque, è suggerire come il corpo non si esaurisca in realtà con l’epidermide: non è infatti quell'ultimo strato di cellule trasparenti, chiamato pelle, a dividerci da tutto il resto. L'aria, l'acqua e il cibo di cui ci nutriamo sono fonti d’informazione che transitano nel nostro corpo-mente, e che ne costituiscono l’essenza organica. Tra i rami e le foglie di questo piccolo intreccio boschivo, base per laboratori di educazione ambientale, può inoltre trovare riparo e sostentamento un nucleo di esseri palpitanti, creature che spesso ci circondano ma della cui presenza quasi mai ci rendiamo conto.
La realizzazione di Corpo Vegetale ha però coinciso, nel mese di aprile 2011, con il disastro nucleare di Fukushima; evento che in modo sostanziale ha fatto riflettere sulla poetica del progetto e che ha portato gli autori a riformularne alcuni assunti. “Sembra infatti eclissarsi ogni apertura dell’essere umano al mondo, ogni spazio di relazione con esso poiché accecati dal potere e dallo sfruttamento utilitaristico di qualsiasi bene e risorsa” – sostengono Felice Gualtieri, Armando Mangone, Maria Luisa Priori (No Office). Fukushima è così diventato il mondo: il FuskushimaMondo. E Corpo Vegetale si è arricchita di piante di vite, grano e un leccio, specie simboliche che rimandano all’abbondanza e alla forza in grado di attirare uccelli, monito di buon auspicio e speranza per il futuro.
14
Myvillages/Wapke Feenstra, Libera Scuola del Giardino
2015-ongoing, installazione ambientale
La Libera Scuola del Giardino mira a definire una nuova e specifica identità collettiva, finalizzata alla coltivazione e lavorazione di prodotti vegetali e si concretizza attraverso un’esperienza comune sviluppata a livello progettuale e fattivo.
L’orto/giardino, coltivato da un gruppo di lavoro e dalle comunità che partecipano ai programmi educativi, si conforma come un contributo all’ International Village Shop, network avviato sin dal 2007 dal collettivo myvillages, che riunisce piattaforme temporanee o permanenti per lo scambio di prodotti locali e che si conforma come una rete internazionale diffusa in spazi sia rurali che urbani. L’attività vede l’avvio progressivo di coltivazioni orticole e arbustive per la microproduzione locale di semilavorati, ottenuti attraverso la crescita delle materie prime, la loro raccolta e lavorazione quali: miele, saponi, oleoliti, unguenti, bagni alle erbe, semi autoctoni.
L’orto/giardino è il luogo della crescita di piante aromatiche i cui fiori o foglie seccati sono utilizzati al naturale o come base per prodotti trasformati. Da tutto il territorio verde vengono raccolti i semi per attuare una politica di libero scambio della disseminazione vegetale, anche di specie a protezione assoluta e a rischio d’estinzione.
15
Luigi Mainolfi, Tre quarti di sfera con coda
2000, Installazione, ferro, cm 200x200x600
Donata dall’artista al PAV attraverso un comodato d’uso di 5 anni, Tre quarti di sfera con coda si inserisce nel vivo della riflessione e del ripensamento del linguaggio scultoreo dell’antitradizionalismo di forma e materiali propri degli anni Novanta del Novecento, ma che trovano radici profonde fin dagli anni Settanta con le prime esperienze minimaliste. È in ogni caso un atteggiamento di rilettura del “fare scultura” quello che accompagna tutta la ricerca di Luigi Mainolfi (1948, Rotondi - AV; vive a Torino) e che, in particolar modo, prende forma nelle serie Tamburi, Campane e Campanacci (1988-89), Paesaggi (1994), Gabbie (1997) e Disegni di Ferro (1999).
Pur essendo un artista che alla scultura associa la fatica della forgiatura e la maestria tipica dell’officina, dove nulla è immateriale, egli si definisce a tutti gli effetti uno scultore che “disegna” con il bronzo e il ferro. Le sue opere sono infatti disegni tridimensionali e, anche se il modulo geometrico su cui si basano potrebbe apparire un’astrazione, o un canone, di fatto non è che la dimostrazione della necessità tattile che spinge costantemente Mainolfi a costruire materialmente le sue fantasie dando forma alle idee impresse sulla carta. Semplicemente intitolata Tre quarti di sfera con coda - poiché appare fisicamente con tre quarti di sfera e un prolungamento codiforme, quasi una sorta di richiamo stilizzato alla forma di uno spermatozoo - l’opera è in realtà composta dalla trasparenza e dal vuoto incorniciati dal ferro corroso dal tempo. La scultura di Mainolfi è un vedere attraverso: dentro, infatti, si vedono forme che altro non sono se non il modello di altre opere. Sono le forme che l’opera avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per l’altra, diventata come oggi la vediamo. È un’opera che, offrendosi allo sguardo curioso di chi vuole scoprire cosa c’è dietro, sembra difendere con una corazza il proprio corpo interno. In questo modo, Mainolfi costringe l'osservatore a scontrarsi con la “pelle” della scultura, stimolando la sua attenzione non in direzione della profondità, ma in quella dell’estensione superficiale. La scultura, per quanto nata dal disegno, è materia, è corpo organico che non necessita di supporti o basamenti. È carica di energia pulsante, abita la terra ma risiede anche sotto la vastità del cielo, ed è a tutti gli effetti una città investita di forza e vitalità.
Anche nella più recente produzione, strutture piramidali, paesaggi in ferro e gabbie dalle sembianze animali costituiscono solo alcune delle modulazioni di quella “superficie della scultura”, che apparentemente subisce una sorta di raffreddamento nell’epidermide dovuto alla regolarizzazione in strutture in metallo, ma che in realtà sono ancora una volta riscaldate dalla loro forza espressiva. Tre quarti di sfera con coda diventa portatrice al PAV di vicende storiche proprie dell’arte e rappresenta la memoria intesa come base per il futuro in un presente stravolto e incerto.
16
Bert Theis, Isola Bonsai
2015, installazione ambientale
Con il workshop Isola Bonsai i cittadini dell’Isola Pepe Verde di Milano e Bert Theis hanno lavorato con il PAV e con i residenti della zona per costruire l’ennesimo pezzo concreto di Isola Utopia. Si tratta di un incontro di vicinanze in cui scambiare esperienze di vita comunitaria in zone ex industriali, entrambe, pur con processi differenti, preservate dalla cementificazione di cui soffrono le aree urbane in trasformazione. L’incontro fra Isola Pepe Verde e PAV stringe un’alleanza attraverso il segno tangibile della volontà di resistenza e autodeterminazione di chi i territori li abita e li difende, rendendo liberi e accessibili gli spazi al fine di facilitare scambi culturali, sociali, educativi e conviviali.
Nei due giorni di attività è stato messo in atto il metodo di produzione collettiva proposto da Isola Pepe Verde, dando vita all’aiuola realizzata con le piante provenienti dal giardino milanese, cui è seguito lo scambio con piante presenti nel territorio del PAV.
All’auto-costruzione del giardino e all’intervento di pittura murale, condotto da Edith Poirier, hanno lavorato un gruppo di attivisti e artisti del progetto autogestito milanese e gli abitanti del nostro quartiere, oltre a persone interessate a conoscere le importanti esperienze improntate alla progettazione e alla cura degli spazi comuni.
17
Stefano Boccalini, PublicPrivate
2017, ferro, acciaio / iron, steel, 100 x 530 x 25 cm
L’installazione PublicPrivate è stata creata con materiali somiglianti da un punto di vista estetico, ma con caratteristiche tecniche differenti. Il ferro e l’acciaio appena lucidati appaiono simili, ma se esposti agli agenti atmosferici reagiscono in modo differente: il ferro tende ad arrugginire e col passare del tempo si deteriora, mentre l’acciaio mantiene la sua brillantezza originale. Le parole “public” e “private” sono un chiaro riferimento all’acqua quale bene pubblico, oggi più che mai tema attuale e preoccupante. Col passare del tempo l’opera si modificherà e metterà in evidenza in modo sempre più preciso la differenza tra le due parole, esteticamente e concettualmente, con l’intento di attivare una riflessione più generale su quelli che consideriamo i beni comuni.
18
Wurmkos, Berta
2019, installazione site specific, dimensioni variabili
Il progetto Berta è dedicato all’ambientalista honduregna Berta Cáceres, assassinata nel 2016. L’intervento recupera i concetti antropologici della cultura materiale contadina, determinata dalle stagioni e dal al tempo della terra: una forma di resistenza diversificata. Attraverso la piantumazione di 10 ceppi di vitigno di uva nera, il gruppo Wurmkos vuole creare un habitat, un pergolato/casa dove l’auto-rigenerazione e la circolarità si sottraggono allo sfruttamento lineare imposto dai consumi e dalla forma compiuta di un lavoro d’arte. Il pergolato/habitat, la cui forma iniziale si modificherà a seconda della crescita della vite, avrà molte funzioni: un punto d’incontro per la gente del quartiere, ma anche luogo di discussione per attivisti, nel ricordo di Berta Cáceres. Durante l’inaugurazione, un momento di silenzio si configura come un piccolo nuovo rito, che invita a sentire il tempo e la vigna. L’uva verrà pigiata e si produrrà una piccola serie di bottiglie di vino di Wurmkos e del PAV, trasformando la vendemmia e la pigiatura del vino in un momento di festa.
19
Andrea Caretto / Raffaella Spagna
PAV_Herbarium
2021, legno massello, lamellare, listellare e multistrato di: Abies sp. (Abete/spruce), Fraxinus excelsior (Frassino/ash), Ulmus campestris (Olmo/elm), Castanea sativa (Castagno/chestnut), Populus sp. (Pioppo/poplar), Swietenia sp, (Mogano/mahogany), Triplochiton scleroxylon (Obeche o Ayous), Fagus sylvatica (Faggio/beech), Quercus robur (Farnia/English oak), Quercus petraea (Rovere/durmast), Pyrus communis (Pero/pear tree), Tilia europaea (Tiglio/lime), Pinus palustris (Yellow Pine), Pterygota sp. (Kotò), Larix decidua (Larice/larch), Prunus avium (Ciliegio/cherry-tree), Acer pseudoplatanus (Acero/maple), Carpinus betulus (Carpino/hornbeam), Alnus glutinosa (Ontano nero/black alder), Salix alba (Salice bianco/white sallow), Aningeria sp. (Noce/walnut Tanganica).50 esemplari di piante essiccate, raccolte e determinate collettivamente, lastre di polimetacrilato e policarbonato trasparente, ferro, lastre di argilloscisti (ardesia).
PAV_Herbarium è uno spazio ad hoc per catalogare e conservare le specie botaniche raccolte nel territorio del Pav attraverso pratiche collettive condotte dagli artisti sin dall’avvio del progetto PAV, nel 2006 e, da allora, in continuo aggiornamento.
All’interno di espositori realizzati con legni di varia natura e provenienza, il visitatore può osservare 50 campioni vegetali selezionati fra le numerose specie di piante spontanee presenti nel parco, insieme a libri in consultazione ed una collezione di materiali naturali, oggetti e piccole sculture. L’installazione è concepita come un organismo in crescita e trasformazione; oltre alle specie esposte, l’installazione comprende un erbario digitale, anch’esso in divenire, per approfondire in modo esaustivo la conoscenza delle specie sin qui catalogate.
20
Piero Gilardi, L’albero del PAV
2018, installazione ambientale luminosa permanente, inclusa nel circuito cittadino di Luci d’Artista
In tutte le culture umane, nello spazio e nel tempo, la figura dell’albero è molto significativa come tramite simbolico, tra la terra e il cielo. L’albero del PAV, arabescato di luce colorata, intende divenire un augurale preludio simbolico per i cittadini che si avventurano nel Centro d’arte contemporanea, tra le macchie di verde profumato alla ricerca dei segni di un’arte ecologica che celebra il nostro reincanto per la natura.
21
Marko Tadić, The School
2024, mattoni, intonaco, tre elementi, cm 82x61x82 - 180x100x180 - 250x104x138
"The School" è un intervento permanente dell'artista croato Marko Tadić pensato per il PAV, un’area di sosta accogliente e vivibile dal pubblico e dalle scuole durante le visite nel verde. Un'installazione spaziale la cui conformazione decostruisce uno ziggurat e invita il visitatore a sedersi, leggere, discutere, insegnare, riunirsi all'aperto o semplicemente sdraiarsi al sole. Uno spazio pubblico da utilizzare come meglio si crede. Una piattaforma aperta che invita a osservare il parco del PAV, il cielo sopra di esso, ma anche i dettagli a terra, come l'erba, le piante e gli insetti attraverso uno sguardo che va dal micro al macro. "The School" riprende la tradizione di quelle scuole filosofiche che trovavano posto in spazi all'aperto, come i gradini di una piazza pubblica, portici di passaggio, aree verdi e parchi.
L'installazione di Tadić è aperta e invita i visitatori a usarla come punto di vista, sia in senso letterale che metaforico.
Parte di New Perspectives for Action. Un Progetto di Re-Imagine Europe, cofinanziato dall'Unione europea.
Pav Staff Servizi Pubblicazioni Newsletter Trasparenza Privacy policy
PAV Parco Arte Vivente
Centro sperimentale d'arte contemporanea
via Giordano Bruno 31, Torino
T. +39 011 3182235
info@parcoartevivente.it
Orario estivo: da mercoledì a venerdì ore 16-19
sabato e domenica ore 12-19
Orario invernale: venerdì ore 15-18
sabato e domenica ore 12-19
Per scuole e gruppi, su prenotazione, da martedì a venerdì
PAV Parco Arte Vivente
Centro sperimentale d'arte contemporanea
via Giordano Bruno 31, Torino
T. +39 011 3182235
info@parcoartevivente.it
Orario estivo: da mercoledì a venerdì ore 16-19
sabato e domenica ore 12-19
Orario invernale: venerdì ore 15-18
sabato e domenica ore 12-19
Per scuole e gruppi, su prenotazione,
da martedì a venerdì
Obblighi di pubblicità e trasparenza ex L. 124/2017 Anno 2024 – soggetto ricevente: AcPAV (C.F. 08642260015)
Soggetto erogante:
1) Regione Piemonte – somme incassate:
-Euro 28.840,00 in data 15/02/2024 a titolo di Acconto contributo attività anno 2023 (determinazione dirigenziale n. 377/A2003C/2023 del 16/11/2023)
-Euro 28.840,00 in data 15/07/2024 a titolo di Saldo contributo attività anno 2023 (determinazione dirigenziale n. 377/A2003C/2023 del 16/11/2023)
-Euro 28.840,00 in data 05/09/2024 a titolo di Acconto contributo attività anno 2024 (determinazione dirigenziale n. 191/A2003C/2024 del 27/06/2024)
2) Regione Piemonte – somme assegnate (non incassate):
-Euro 28.840,00 a titolo di Saldo contributo attività anno 2024 (determinazione dirigenziale n. 191/A2003C/2024 del 27/06/2024)
3) Comune di Torino – somme incassate:
-Euro 100.000,00 in data 17/06/2024 a titolo di contributo attività anno 2023 (determinazione dirigenziale n. 5559 del 04/10/2023)
4) Comune di Torino – somme assegnate (non incassate):
-Euro 100.000,00 a titolo di contributo attività anno 2024 (determinazione dirigenziale n. 4420 del 25/07/2024)
PAV Staff
Direttore
ENRICO CARLO BONANATE
Curatore
MARCO SCOTINI
Assistente alla produzione
ALESSANDRA MESSALI
Attività Educative e Formative
Curatrice
ORIETTA BROMBIN
Educatrice museale
ELISABETTA REALI
Organizzazione eventi
VALENTINA BONOMONTE
Allestimenti
GIULIANA PONTI
Mediatore culturale
DEBORAH PARISI
Biglietteria
MARCO MONTATO