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Workshop_1 Colonizzazione_01
Condotto da Andrea Caretto e Raffaella Spagna
16 dicembre 2006
L’intervento collettivo proposto costituisce il primo workshop che il PAV promuove per mantenere attivo l’intento fondante, espresso dal suo ideatore Piero Gilardi, di manifestare un’arte come “(…) relazione intersoggettiva tra l’artista e il suo pubblico, declinata in forma processuale aperta (…) che si esplica sia nell’azione di un artista che dialoga con altri soggetti, sia nella produzione di un’arte plurale, cioè di opere realizzate attraverso la condivisione del processo creativo da parte di una pluralità di soggetti.”
Consapevoli della natura complessa della porzione di suolo urbano che il Parco andrà progressivamente occupando, lembo dopo lembo, è stato per noi istintivo collocare il nostro intervento nello spazio interstiziale di congiunzione tra passato e futuro, costruito e non costruito, organico e inorganico, attivando una riflessione sulle qualità transitorie che questo luogo ancora presenta, per lasciarle in eredità al nascente parco.
Il Parco d’arte vivente sorge sull’area industriale dismessa delle ex-officine Framtek in via Giordano Bruno a Torino; una rapida osservazione della sua condizione attuale mette immediatamente in evidenza il contrasto tra il nitido disegno dell’opera ambientale Trèfle di Dominique Gonzalez-Foertser da poco inaugurata e l’area adiacente non ancora ridisegnata, ricoperta da macerie e rifiuti e popolata da rigogliose piante pioniere. Tutto attorno a questo tassello dalla superficie permeabile, la spinta rifunzionalizzante della città ha già ri-occupato i vuoti da poco liberatisi, con la nuova sede dell’AMIAT da un lato e con imponenti edifici di edilizia residenziale dall’altro.
Attraversando a piedi questo lembo lacerato di suolo cittadino che accoglierà le future opere ambientali del Pav, appare evidente la stratificazione diacronica della costruzione della città: blocchi di asfalto, resti di superfici calpestate, frammenti dei muri di vecchi edifici, ma anche sedimenti che raccontano dell’antico mare mesozoico e la storia geologica delle Alpi; una stratigrafia della città che mescola tempo umano e tempo geologico in un unico impasto.
Prima che il vasto mare della ri-progettazione richiuda il varco tra noi e questo mondo sommerso, intendiamo utilizzarlo come area-laboratorio per intraprendere un’esperienza fisica, sensoriale ed emozionale a diretto contatto con questo ambiente, facendo fuoriuscire – inoltre - i significati e le immagini in esso potenzialmente presenti.
Se le aree dismesse, spazi abbandonati o in via di trasformazione, aree interstiziali e di margine (in due parole terrains vagues) possono rappresentare i luoghi del vuoto decisionale e del disinteresse economico e politico, “(…) espressione di un’immagine rovesciata della città (…) che non si lasciano positivamente integrare nel resto della città, essendo esterni al sistema urbano (al sistema del potere, dell’attività)” , l’area in questione non “gode” di questa indeterminatezza funzionale: su di essa non c’è mancanza di previsione per il suo futuro, il ridisegno del suo spazio è già in buona parte prestabilito e avviato. In questo senso l’area cantiere del Pav si differenzia, per carattere, anche da quei tratti di suolo cittadino che per breve o lunghi periodi sono lasciati a se stessi, intrappolati (o liberati) dalle forze contrastanti di interessi economici e politici opposti così potenti, da sospenderne momentaneamente la destinazione funzionale; vuoti pieni di invisibili reti di interessi e relazioni.
L’ area-laboratorio prescelta per il primo Pav-workshop – grazie alla natura vaga e mutevole di questo genere di spazi, sempre aperti ad accogliere nuove ri-significazioni – manifesta in parte tutti i caratteri suddetti; altri ancora sono in attesa di essere attivati, ma già si rivelano ad una prima e rapida osservazione. Questo terreno movimentato da cumuli di macerie e rottami, pare delineare la scena di un paesaggio in miniatura: un vasto diorama che riproduce i versanti, le valli e le gole di un immaginario territorio montuoso; al contempo, il suo essere racchiuso e delimitato, completamente circondato da un ambiente con caratteristiche diverse, avvicina questo lembo di terreno allo statuto proprio del “giardino”, luogo cintato e protetto per definizione, con il quale condivide anche la fragilità e precarietà della sua “composizione”. Come sempre accade in questi terreni sconnessi, dal suolo povero e contaminato da inerti, una vigorosa vegetazione pioniera formata in parte da specie esotiche resistenti a condizioni ambientali ostili, prende possesso dell’area e la colonizza. Questi luoghi di rinascita urbana del selvatico, hanno già attratto a sé l’attenzione di artisti, architetti e studiosi, che in essi individuano, a seconda della propria direzione di ricerca: oasi ad alta potenzialità biologica, “vivai spontanei” per la preservazione della biodiversità del pianeta , e/o zone privilegiate per riavviare un contatto più autentico con il senso del selvatico, mantenendo le distanze dall’edulcorata percezione di una natura incontaminata, ipermediatizzata, sfruttata o protetta.
In ogni caso, la sensazione di spaesamento che questo genere di luoghi induce, è assai utile a produrre in noi quella intensificazione percettiva, utile a incrinare le modalità di percezione abitudinarie dei luoghi di vita e favorire nuove ed inconsuete colonizzazioni.
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PAV Parco Arte Vivente
Centro sperimentale d'arte contemporanea
via Giordano Bruno 31, Torino
T. +39 011 3182235
info@parcoartevivente.it
Orario estivo: da mercoledì a venerdì ore 16-19
sabato e domenica ore 12-19
Orario invernale: venerdì ore 15-18
sabato e domenica ore 12-19
Per scuole e gruppi, su prenotazione, da martedì a venerdì
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